Tutti siamo potenzialmente delle buyer personas. E questo è un dato di fatto. Se acquisti un qualsiasi articolo online, lasciando traccia dei tuoi dati personali e delle tue preferenze in fatto di prodotti e metodi di acquisto, puoi essere automaticamente catalogato all’interno di un gruppo di buyer personas.
Ma cosa è effettivamente la buyer personas? Si tratta essenzialmente del rappresentante di una tipologia di clienti, un modello che viene dunque creato a partire dagli insight forniti da consumatori e utenti.
Attraverso lo studio di questi archetipi si riescono a costruire delle strategie di marketing e business che puntano ad aumentare il grado di coinvolgimento e fidelizzazione del cliente. Sapere ciò che concretamente piace risulta essere fondamentale.
Gli insight possono riguardare informazioni di vario tipo, oltre a quelle strettamente personali e di preferenza del prodotto, come le espressioni utilizzate, modi di scrivere e parlare, citazioni usate e riprese durante apposite interviste, puntando dunque ad una raccolta di dati che sia anche qualitativa oltre che quantitativa.
Ciò aiuta ad inquadrare la persona ad un livello più “umano”, senza schematizzare necessariamente le sue preferenze e convertirle in dati statici e numerici.
Nella delineazione delle buyer personas è utile realizzare una raccolta di dati socio-demografici, relativi soprattutto alle abitudini di acquisto, metodi di pagamento preferiti o, più banalmente (ma fondamentale) l’appartenenza geografica. I dati comportamentali e motivazionali dei segmenti di utenti a cui ci riferiamo aiutano a comprendere quali sono i loro problemi e le modalità con cui vorrebbero risolverli, facendo in modo che l’azienda riesca a creare dei contenuti mirati che possano andare incontro al loro modo di pensare e di concepire la risoluzione di un problema.
Tuttavia, nonostante questa tipologia di dati risulti efficace per focalizzare le risorse aziendali sull’obiettivo e identificare al contempo quali aspetti di business vadano ottimizzati, consente soltanto di fare chiarezza su cosa proporre, e non come proporlo. Diventa allora fondamentale non fermarsi semplicemente ai dati raccolti tramite gli insight, ma immedesimarsi nel soggetto, pensare come lui, che vuol dire replicare esattamente le sue strutture di pensiero. Ai dati demografici andranno aggiunti allora i dati psicografici, cioè il risultato dell’analisi di alcuni elementi quali atteggiamenti, modi di pensare tipici che si ripetono nel tempo, modi di dire: sarebbe opportuno comprendere se la persona è più o meno estroversa, timida, impulsiva nell’acquisto o più razionale. A ciò si aggiunge anche quel sistema di valori che in ciascuno di noi è stato tramandato e che riguarda pregiudizi, convenzioni, opinioni e preconcetti che le persone hanno su svariati argomenti e sfere della vita.
Se i dati demografici diventano fondamentali per comprendere la tipologia di prodotto da vendere e dove venderlo, i dati psicografici aiuteranno l’azienda nella formazione del messaggio pubblicitario del prodotto.
Infine non bisogna dimenticare la percezione che i clienti hanno del brand e dei suoi relativi prodotti e servizi. Conoscere anche gli aspetti negativi e le critiche che gli utenti muovono nei confronti del marchio diventa importante al fine di proporre dei cambiamenti e rispondere di conseguenza, eliminando così alcuni limiti imposti da problematiche simili.